A due passi dall’uscita della superstrada Firenze-Pisa-Livorno, incuneata nella grande rotonda, svetta l’insegna blu di Giovanni Calzature ed è tanto grande che, percorrendo la 67bis “Arnaccio” la puoi vedere quasi da San Frediano. Ma che dico: qualcuno dice di averla vista già da Stagno, e Stagno è quasi Livorno, eh!
Bellissimo negozio, quello di Giovanni, non c’è che dire, ma non mi chiedete chi è Giovanni, perché alla cassa sono in due, e si somigliano come due gocce d’acqua.
Se sei venuto per farti una passeggiata, non c’è problema, ma se sei entrato da Giovanni per comprare un paio di scarpe, stai fresco amico mio: trovare il tuo paio sarà un vero incubo. Se poi è giorno di saldi, cercare una scarpa contemporanea da Giovanni è come cercare l’ultimo modello di iphone al museo di Leonardo da Vinci.
Avete mai visitato un Museo della Scienza, tipo quello di Milano, o quello di Monaco di Baviera?
In questo tipo di museo tu entri e ti concentri, chessò, su un oggetto tecnologico qualsiasi: la lavatrice. Poi cominci a camminare tra gli scaffali e, senza neanche accorgertene, ti ritrovi in un squarcio dello spazio-tempo ove ti appariranno in ordine inverso tutti i tipi di lavatrice concepiti dalla mente umana.
Dapprima vedi la lavatrice com’è ai giorni nostri o, al massimo, com’era ai tempi di tua nonna.
La guardi e pensi: “Essì, questa è la lavatrice. Qui si mettono i panni, qui si mette l’acqua, qui il sapone …”.
Ma poi ti sposti allo scaffale più avanti, e qui cominciano le stranezze: il cestello basculante, il cestello rotante, la carica dall’alto, la carica frontale, la trasmissione a cinghia, la trasmissione a catena, l’alimentazione elettrica, a vapore, a manovella, a pedali, e tanto più vai avanti nei vari scaffali tanto più il tuo viaggio diventa un tuffo indietro nel tempo, in una vertigine di soluzioni tecniche sempre più bizzarre, fin quando esci da quel settore convinto oramai che i progettisti di lavatrici formino una razza a parte nel panorama degli inventori, e comunque è tutta gente che fuma roba forte o è seriamente disadattata.
Da Giovanni è uguale: tu entri e, corsia dopo corsia, dapprima ti vedi scomparire i modelli di quest’anno, e ti dici: “Vabbè, tanto costavano un occhio della testa”. Poi scompaiono quelli dell’estate ed arrivano i modelli dello scorso inverno, con i primi cartelli di sconto: 10, 20, e poi 50 per cento.
Ma se, dribblando le colonne di scatoloni che Giovanni ha messo qua e là per rendere più avventurosa la ricerca della tua scarpa, tu vai ancora più avanti, ti compariranno i modelli di tutti gli inverni precedenti, fino arrivare al celebre inverno russo che vide sconfitto Napoleone.
Mentre ti spingi là dove le luci del negozio cominciano a farsi più fioche, stai attento, o viaggiatore che cerchi la tua scarpa, perché qui l’odore di pelle antica, quasi fossile, è così forte che ti farà girare la testa, mentre tomaie, lacci e lacciuòli danzeranno intorno a te come in un sabbah infernale.
Tu credevi di essere in un negozio, invece sei entrato nel Museo Internazionale della Calzatura: e ti sembra quasi di vedere i celebri valenki che portava Solgenitsin quand’era prigioniero nel gulag, gli scarpini ottocentesci di Ugo Foscolo, con la fibbia di metallo, la scarpa col tacco alto di Mozart, lo stivale di pelle di Vercingetorige, la calzatura cartaginese, il coturno romano, finquando arrivi al muro di fondo e non puoi fare altro che tornare indietro, e ricominciare.
E quando finalmente hai trovato il modello che ti piace, seppellito da qualche parte sotto migliaia di altre scarpe, scoprirai che ci sono soltanto i numeri 41 e 43, ma tu porti il 42, e anche questa volta tornerai indietro sconfitto.1
Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo di gente in gente […]
Ugo Foscolo
1© 2012, Michele Andreoli